C’è una grotta poco conosciuta alle porte di Roma con pitture rupestri e sculture scolpite dall’acqua: è la Grotta dell’Arco di Bellegra, borgo di 2.700 abitanti nell’alta Valle dell’Aniene: è una cavità naturale, abitata dall’età del ferro, divenuta tempio votivo in età arcaica ed infine, nel secolo scorso, mola per la macina del grano.
La sua apertura agli speleologici e poi ai turisti è storia recente. La grotta si estende per circa un chilometro. L’imbocco è preceduto da un’area verde e da un ponticello su un torrente che fuoriesce dalla grotta e giunge all’arco; da lì si entra subito in contatto con l’ambiente tipico delle grotte con stalattiti, stalagmiti, inghiottitoi, laghetti e ruscelli.
La Grotta dell’Arco di Bellegra ha una storia plurimillenaria non solo da un punto di vista geologico: è un emissario di un antico lago – il pantano di Roiate – dove l’acqua lentamente ha costruito, con infinita pazienza, le sculture naturali che la caratterizzano. Ma il suo più grande valore aggiunto, è costituito dalla storia dell’uomo, che si va a sovrapporre a quella naturale.
Nell’età del ferro era rifugio e riparo. Lo testimoniano le epigrafi con disegni di ominidi intenti a cacciare, che si possono ammirare nel percorso di visita. La grotta poi diventata, grazie ad un pozzo votivo, un santuario di ex voto che, ancora oggi, vengono rinvenuti nel corso delle visite speleo turistiche.
La grotta è visitabile con due percorsi distinti, quello turistico e quello speleo turistico. Con possibilità di un terzo percorso detto “avanzato”, riservato agli esperti.
Le pitture sono state scoperte solo dopo l’impianto della passerella metallica negli anni ’90 dello scorso secolo, quando cioè i numerosi speleologi che frequentano annualmente la grotta non sono stati più costretti a districarsi nel potente deposito di fango che interessava la zona dell’ingresso ed anzi hanno potuto gettare uno sguardo alla morfologia di questa parte della cavità.